Programma Riabilitativo

 


Programma Riabilitativo

La sclerosi multipla è un’entità nosologica effettivamente complessa ed eterogenea, pertanto diventa difficile stilare un programma riabilitativo di massima, o addirittura impossibile proporre un protocollo a regole fisse per la riabilitazione del paziente affetto da questa patologia. Sicuramente una corretta valutazione del paziente nella globalità delle sue difficoltà, rappresenta oggi il punto di partenza per poter procedere organicamente ad un intervento riabilitativo specifico (con il termine “globalità” si intendono, oltre agli aspetti clinici della patologia, anche gli aspetti familiari, socio-lavorativi, psicologici ed ambientali che sono parte integrante del nostro quotidiano e della qualità della vita in genere).

Un intervento riabilitativo condotto da un’équipe multidisciplinare (fisiatra, neurologo, fisioterapista, terapista occupazionale, logopedista, infermiere, psicologo, assistente sociale, urologo, sessuologo, neuropsicologo, oculista), dunque, che proponga un progetto mirato oltre che alle disabilità, soprattutto alle abilità residue e recuperabili dell’individuo, vede partecipi anche il paziente stesso e la sua famiglia che ricoprono un ruolo centrale come parte attiva del processo decisionale.

 

Trattamento riabilitativo

Il trattamento riabilitativo cerca di limitare gli esiti funzionali della malattia. La preservazione del cammino (anche mediante l’utilizzo di: esercizi alle parallele, bastone, canadesi o deambulatori con o senza ascellari) e l’utilizzo delle funzionalità residue è in questi pazienti prioritaria. Bisogna prevenire l’allettamento, la formazione di piaghe da decubito e deformità articolari.

Nella fase acuta, spastica, della malattia, si hanno dei disturbi agli arti inferiori ed i muscoli estensori sono più colpiti. I muscoli abduttori sono più deficitari, mentre gli adduttori prevalenti. La riabilitazione deve essere a vantaggio dei muscoli ipotonici e si dovranno fare degli allungamenti dei muscoli ipertonici, soggetti a spasticità. Bisognerà quindi:

  • Effettuare una kinesi passiva dell’articolazione della caviglia e successivo stretching del tendine d’Achille per evitare retrazioni dello stesso e quindi ovviare all’equinismo del piede. La manovra deve essere graduale e lenta, con una forza dosata, per evitare un riflesso abnorme.
  • Mobilizzazione passiva dell’anca in abduzione e adduzione e successivo allungamento dei muscoli adduttori della coscia. Si possono associare eventualmente manovre di contract-relax e/o hold-relax per ottenere un’ulteriore allungamento e acquisire qualche grado in abduzione.
  • Mobilizzazione passiva dell’anca in flesso-estensione e succesivo allungamento del muscolo quadricipite e dei muscoli della loggia posteriore della coscia. Anche qui prestare attenzione a fenomeni di riflesso abnorme allo stiramento.
  • Ulteriore allungamento del tendine d’achille e del quadricipite da prono, quindi con paziente a pancia in giù eventualmente anche con tecniche di contract-relax e/o hodl-relax.


 

Concetti riabilitativi

Non bisogna soffermarsi solo sulla spasticità o sulla forza muscolare, ma sulla capacità di eseguire una funzione e alla sua durata; bisogna entrare nel concetto di una riabilitazione intesa come “problem solving”, ovvero come risolutrice di problemi. Essa deve essere funzionale, piuttosto che solo di lotta contro i segni patologici (spasticità, coordinazione ecc seppur rilevanti). Un segno patologico deve diventare un rilevante obbiettivo del trattamento nella misura in cui risulta correlato al deficit prestazionale. Si deve valutare la potenzialità del soggetto e i suoi limiti da cui bisogna prendere poi l’indicazione per un cambiamento utile e possibile. Se ad esempio per mettersi le scarpe o le calze c’è un’irradiazione in estensione degli arti inferiori o un clono che di fatto mi impedisce tale prestazione, si può suggerire l’opportunità di scegliere strategie e posture capaci di realizzare una modificazione del tono posturale di base o distrettuale che serva sia come ruolo di esercizio che di espansione delle autonomie del malato. Si deve cercare di ottenere un cambiamento del comportamento motorio che dovrà divenire un’attitudine anche dopo la fine del trattamento riabilitativo e non fine allo sterile esercizio stesso. Il terapista non deve essere solo colui che muove ma colui che insegna all’ammalato come utilizzare le sue risorse motorie residue per ottenere un miglioramento nella qualità della vita, nella cura della persona, nelle autonomie e funzioni.

 

Osservare e valutare

Di rilevanza fondamentale è quindi l’osservazione del paziente e valutare le sue reazioni di raddrizzamento e di equilibrio, di paracadute e protezione, dalle quali si possono notare i pattern motori alterati e non fisiologici e sui quali poter agire successivamente. È importante inoltre lavorare sulle componenti rotatorie del tronco importanti anche nelle posture intermedie. Da seduto l’atteggiamento di cifosi già limita le rotazioni del tronco quindi sarà importante modificare già la posizione di partenza dell’esercizio. Inoltre, un buon controllo dell’equilibrio da seduto, significa già migliorare le operazioni di nursing dei familiari e migliorare la dinamica toracica e diaframmatica dal punto di vista respiratorio. Gli esercizi per evocare le reazioni di equilibrio di bacino e tronco possono essere fatti anche su superfici instabili come dei grossi palloni o tavoletta, facendoci sedere sopra il paziente. Si può anche chiedere al paziente di raggiungere degli equilibri in maniera crociata.

Oltre la valutazione delle reazioni posturali e del tono muscolare è importante valutare il deficit di forza inteso come paresi degli aaii (arti inferiori). Questo comporterà la ricerca da parte del paziente di ricercare la forza attraverso la fissazione e attraverso l’utilizzo di riflessi primitivi come il riflesso tonico simmetrico del collo per avere un effetto antigravitario di “forza” il quale però determina una perdita della selettività del movimento. Egli tende a fissarsi sia visivamente che bloccando i cingoli e il capo.

..Per poi Riabilitare

Per lavorare sulla dismetria è consigliabile utilizzare maggiormente afferenze tattili piuttosto che visive, utilizzare dei pesetti da legare ai polsi per sfruttare la co-contrazione muscolare con conseguente aumento di energia muscolare e, infine, scomporre il movimento rendendolo più semplice, limitando sia il numero delle componenti da controllare contemporaneamente che l’escursione articolare. La fissazione visiva permette di ridurre le distorsione delle afferenze vestibolari, ma quando c’è nistagmo o movimenti patologici del capo con oscillazioni, essi fanno perdere l’efficacia dell’artifizio e il riferimento.

Essendoci una problematica di afferenze bisognerà lavorare, proprio dal punto di vista percettivo, sia sulla sensibilità superficiale (tattile e termica, con discriminazione di oggetti rispettivamente: lisci o ruvidi, caldi o freddi) che profonda (es. capire con quale dito si sta tentando di riconoscere o in che posizione si trova l’arto (“propriocettività”).
A tal proposito sono utili quindi esercizi di tipo conoscitivo (metodo Perfetti – E.T.C-) che possono avvalersi anche di superfici instabili, di consistenza o peso diverso.

Altrettanto utile è anche l’idrokinesiterapia, sia per il suo “glove effect”, ovvero per il suo effetto dal punto di vista sensitivo-sensoriale (dato che l’acqua ci dà un segno tangibile di contatto con essa), sia per il suo effetto sulla spasticità. Infatti è stato visto che con esercizi in acqua, sia a 10° che a temperatura ambiente, si ottengono buoni risultati. Anche la crioterapia spesso su alcuni pazienti permette l’abbattimento dell’ipertonia.
Nel posizionamento a letto a letto infine, è bene sapere che la posizione in decubito laterale (sul fianco) è una buona soluzione per decomprimere parzialmente la vescica, per dilatare l’emitorace che non appoggia e per un riadattamento precoce all’equilibrio.
Anche attraverso questo piccole attenzioni si può dunque intervenire sul versante urologico, respiratorio e sull’equilibrio, ovvero sulla funzione vestibolare.

Tra le ultime novità sia in campo neurofisiologico che riabilitativo attinente questa patologia e non solo, non molto tempo fa sono stati scoperti dei neuroni (nell’area F5) che sono stati chiamati “mirror neuron”, ovvero neuroni specchio. È stato visto che questi neuroni si attivano sia quando il soggetto compie l’azione, sia quando la osserva compiere da un altro. Essi non sono dipendenti dall’oggetto ma dalla simile azione (es: se la scimmia impara una sequenza in cui l’azione “prendere l’oggetto per riporlo nel contenitore” prevede la presenza di un solido e questo viene sostituito da cibo, che lei aveva mostrato preferire, non si riscontra una significativa differenza nell’attivazione neuronale)
Il meccanismo dei mirror neurons è talmente potente che questi neuroni non si attivano soltanto quando osserviamo il movimento eseguito da un’altra persona. I mirror neurons si attivano anche quando vediamo sullo schermo del computer un braccio virtuale che compie lo stesso movimento o l’immagine schematizzata di una persona umana che cammina o corre
(Jeannerod et al. 1995; Crammond 1997)

Questo potrebbe aprire nuove frontiere nell’intervento riabilitativo della sclerosi multipla? Si attendono ulteriori studi in merito, così come altre forme di terapia in corso di valutazione..


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